mercoledì 21 novembre 2007

Alla maniera di Colette


di Amelia Di Pietro

Nel corso della storia è capitato molte volte che gli esseri umani per “vestire le emozioni” abbiano preso come modelli cantanti, attori, scrittori, ai quali ci si è identificati proprio per le forti emozioni che essi riuscivano a esternare attraverso le varie forme d’arte.
In alcune epoche questo non ha solo significato voglia d’immedesimazione, ma anche bisogno di esprimere idee, creare rotture, dare voce e corpo ai profondi cambiamenti che nel corso del tempo sono avvenuti nella società. In questo processo la moda è stata spesso usata come veicolo per manifestare un modo di essere e di pensare.
Andando a ritroso sono tanti gli esempi che emergono nella mia memoria a suggello di queste affermazioni, ma in questa sede voglio considerarne uno tra i più significativi Nonché forse uno dei primi casi del desiderio delle donne di esprimersi liberamente in un’epoca in cui il loro ruolo era ancora molto circoscritto. Mi riferisco alla scrittrice Sidonie-Gabrielle Colette, una delle protagoniste delle prime rivendicazioni femminili nella Francia del '900. Colette in questo scorcio d’inizio secolo intraprese una lotta votata principalmente alla rottura di molti dei tabù della sua epoca. Il suo obiettivo era spalancare i cancelli della prigione in cui le donne erano rinchiuse. Questa scrittrice, divenuta un mito per la Francia, visse votata al piacere. Si sposò tre volte. Intraprese diverse relazioni omosessuali dichiarando esplicitamente la sua bisessualità. Ebbe una relazione con il figlio di primo letto del secondo marito, Henry de Jouvenel. Lui aveva sedici anni lei quarantasette. Di fronte alle critiche che le rivolgeva la società scandalizzata dai suoi atteggiamenti, lei rispondeva così: “Vivo la vita nel modo più normale che io conosca: quello che mi pare e piace”.
Colette, proveniente dalla tranquilla campagna della borgogna, inizia la sua avventura all’età di venti anni quando incontra quello che diverrà il suo primo marito: Henry Gauthier Villars detto Willy, un dongiovanni della bella epoque parigina che la inserì nella vita mondana della città. Willy si spacciava per scrittore, ma faceva scrivere i suoi libri ad altri. Chiese anche alla moglie, che spesso si annoiava, di scrivere un romanzo per lui. Nacque così, nel 1900, Claudine a l’école, scritto da Colette e firmato da Willy. Fu un grande successo cui seguì tutta la serie di Claudine. Ma il loro connubio presto si sfaldò anche a causa dei continui tradimenti di lui. Si lasciarono nel 1905. Nel frattempo si creò un vero e proprio caso letterario e non solo. Anche la moda fu enormemente condizionata. Il personaggio di Claudine invase la Francia. Non esisteva un articolo commerciale che non subisse lo stile di questa “eroina”. Apparvero i profumi di Claudine, le acconciature di capelli alla Claudine, i grembiuli alla Claudine e perfino le cravatte alla Claudine.
Anche in questo Colette precorse i tempi: la sua invenzione letteraria diventò un fatto di costume.
Forse tutto questo riverbero era dovuto al fatto che Colette, con i suoi romanzi intrisi di velato erotismo, aveva dato modo alle donne di prendere coscienza di se stesse e di trovare il coraggio, se non altro attraverso l’imitazione di un modello, di rompere gli schemi.
Quale esempio migliore di questo per comprendere come la moda e la letteratura siano riuscite alcune volte, attraverso la loro commistione, a tessere le fila di autentici mutamenti.

1 commento:

KatiaC ha detto...

Ho sempre amato Colette.

Katia Ceccarelli